Time is running out

Time is running out
αιων παις παιζων πεσσευων παιδος η βασιληιη

martedì 19 aprile 2011

Perché sempre si nasce senza saper parlare


A 122 anni dalla nascita di Charlie Chaplin


Sono passati ormai diversi anni dal 1977 e nonostante tutto, nessuno sembra scordarsi di uno fra i più grandi attori e registi di tutti i tempi “moderni”. Si parla naturalmente del talent actor Charlie Chaplin, famoso per le sue esilaranti interpretazioni e, nondimeno, per il più ricorrente tra i personaggi da lui ideati: il vagabondo Charlot. Smilzo omino dagli strani baffetti e dall’ondeggiante andatura, in mano il bastone da passeggio in bambù, in bocca un vecchio mozzicone di sigaro e l’indimenticabile bombetta calcata in testa che tra una gaffe e un sorrisino timido sa conquistare il cuore di tutti il mondo. Raffinato, semplice e irriverente, il gentiluomo errante è diventato ben presto il simbolo del cinema muto. Google per il 122° compleanno di Chaplin ha deciso così di dedicare non solo la home page, ma pure un corto di pochi minuti interpretato da un sosia. Ottima scelta, insomma, per rievocare le sue grandi performance cinematografiche.

mercoledì 9 marzo 2011

Coming Back, la Fabbrica dei miei Sogni


Piccole perle di saggezza.

"Lui è buono, vero Gatto? Su, vieni qua, povero amore, povero amore senza nome...
ma io penso che non ho il diritto di dargli un nome... perché in fondo noi due non ci apparteniamo, è stato un incontro casuale.
E poi non voglio possedere niente, finché non avrò trovato un posto che mi vada a genio... non so ancora dove sarà, ma so com'è.
Se io trovassi un posto a questo mondo che mi facesse sentire come da Tiffany comprerei i mobili e darei al gatto un nome!"


lunedì 3 gennaio 2011

How to train yourself




Tre Gennaio e tra undici giorni un esame. Vacanze Natalizie andate, diciannove anni andati, età dell’adolescenza pure. Il mio cane: morto da due mesi, primo esame dato: ancora in attesa di voto. Eppure ora come ora, seduta alla mia scrivania, il tasti del pc a suonare quel loro tac-tac continuo, con questa musica di sottofondo, ripensando a quanto fatto, a quanto visto, a quanto sognato, mai avrei sperato di meglio. Ancor di più, potrei dire che la bellezza di questo miscuglio di note che mi trasmette migliaia di sensazioni diverse, non potrebbe essere più bello in questo momento. Aspetto la durata del brano prima di ripensare ai problemi. Al bando le preoccupazioni: crisi, precarietà, ignoranza, guerra e un punto chiamato “fine”( chissà quando!). Mi concedo questa pausa che, al giorno d’oggi, in molti si concedono per frivolezze ed in pochi si danno per riflettere. Posso dire di essere la ragazza più soddisfatta di questa terra, pronta a reagire, come un lupo che si trova davanti ad una difficoltà, o un drago che spicca il salto prima del volo, una crisalide che si spezza perché pronta, un cervo che salta in mezzo al bosco. Kant diceva che il volere è potere, aveva ragione, ma a pensarci bene la definizione più corretta...anzi, no, che dico!La felicità non ha definizione!Diciamo, la filosofia di vita più corretta è un tantino diversa. “Estote Parati” diceva un vecchio saggio e io ci credo: Akela, del nostro meglio, sempre pronti per servire.

sabato 18 dicembre 2010

Chapeau


Pubblico di seguito il testo integrale della lettera al Direttore del Tg1 scritta dalla Giornalista Maria Luisa Busi (Sì, giornalista con la maiuscola perché se la merita eccome!).

Prima di fare ciò però vorrei dire due parole a riguardo.
Da studentessa universitaria ovviamente, per quanto la politica italiana lasci molto a desiderare, devo pur prenderla in considerazione. Questo in virtù del fatto che, come dice spesso una mia cara amica, noi votiamo. La domanda è: cosa?Chi?Perché lui e non l'altro? Queste risposte dovrebbero essere frutto di una lunga riflessione, nata dalle informazioni di base date dai media e quant'altro ci sia a nostra disposizione:incontri, pareri, pensieri, posizioni diverse. Insomma, si tratta di scegliere democraticamente cosa sia meglio per il nostro paese; il fatto è che invece, negli ultimi anni, non si vota per partito preso, per posizioni o ideologie, si vota per "il meno peggio". La mia demotivazione riguardante anche solo il prendere in considerazione la politica, allora, si è fatta sempre più forte. Rincuorante poteva essere l'utilizzo del mass media per la diffusione delle notizie ma, anche quella, ha lasciato molto a desiderare. Tra un servizio di "Lucky il cane scomparso", il concentramento mediatico sul caso di Avetrana, la Canalis e Clooney in viaggio si è persa quella che era la credibilità che mezzi di comunicazione quali le testate giornalistiche o i tg delle venti potevano offrire.
Provare ad aggiustare il mondo a partire dal nostro paese sembra dunque un'impresa disperata, ritengo che però la Sig.ra Busi abbia saputo dimostrare, ancora una volta, la sua professionalità e eticità- persa ormai da parte dei giornalisti- diventando un esempio e un modello per noi giovani, in primis, per i giornalisti e per i cittadini italiani.
Tanto di cappello allora, chissà che questo non sia che una scintilla in grado di scatenare un grande incendio. Un incendio dalle cui ceneri possa rinascere qualcosa di buono.

Ecco il testo integrale:

«Caro direttore, ti chiedo di essere sollevata dalla mansione di conduttrice dell’edizione delle 20 del Tg1, essendosi determinata una situazione che non mi consente di svolgere questo compito senza pregiudizio per le mie convinzioni professionali. Questa è per me una scelta difficile, ma obbligata. Considero la linea editoriale che hai voluto imprimere al giornale una sorta di dirottamento, a causa del quale il Tg1 rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di credibilità nei confronti dei telespettatori.

Come ha detto il presidente della Commissione di Vigilanza Rai Sergio Zavoli: “la più grande testata italiana, rinunciando alla sua tradizionale struttura ha visto trasformare insieme con la sua identità, parte dell’ascolto tradizionale”. Amo questo giornale, dove lavoro da 21 anni. Perché è un grande giornale. È stato il giornale di Vespa, Frajese, Longhi, Morrione, Fava, Giuntella. Il giornale delle culture diverse, delle idee diverse. Le conteneva tutte, era questa la sua ricchezza. Era il loro giornale, il nostro giornale. Anche dei colleghi che hai rimosso dai loro incarichi e di molti altri qui dentro che sono stati emarginati. Questo è il giornale che ha sempre parlato a tutto il Paese. Il giornale degli italiani. Il giornale che ha dato voce a tutte le voci. Non è mai stato il giornale di una voce sola.

Oggi l’informazione del Tg1 è un’informazione parziale e di parte. Dov’è il paese reale? Dove sono le donne della vita reale? Quelle che devono aspettare mesi per una mammografia, se non possono pagarla? Quelle coi salari peggiori d’Europa, quelle che fanno fatica ogni giorno ad andare avanti perché negli asili nido non c’è posto per tutti i nostri figli? Devono farsi levare il sangue e morire per avere l’onore di un nostro titolo. E dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Un milione di persone, dietro alle quali ci sono le loro famiglie. Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri? E i quarantenni ancora precari, a 800 euro al mese, che non possono comprare neanche un divano, figuriamoci mettere al mondo un figlio? E dove sono i cassintegrati dell’Alitalia? Che fine hanno fatto? E le centinaia di aziende che chiudono e gli imprenditori del nord est che si tolgono la vita perchè falliti? Dov’è questa Italia che abbiamo il dovere di raccontare? Quell’Italia esiste. Ma il tg1 l’ha eliminata. Anche io compro la carta igienica per mia figlia che frequenta la prima elementare in una scuola pubblica. Ma la sera, nel TG1 delle 20, diamo spazio solo ai ministri Gelmini e Brunetta che presentano il nuovo grande progetto per la digitalizzazione della scuola, compreso di lavagna interattiva multimediale.

L’Italia che vive una drammatica crisi sociale è finita nel binario morto della nostra indifferenza. Schiacciata tra un’informazione di parte - un editoriale sulla giustizia, uno contro i pentiti di mafia, un altro sull’inchiesta di Trani nel quale hai affermato di non essere indagato, smentito dai fatti il giorno dopo - e l’infotainment quotidiano: da quante volte occorre lavarsi le mani ogni giorno, alla caccia al coccodrillo nel lago, alle mutande antiscippo. Una scelta editoriale con la quale stiamo arricchendo le sceneggiature dei programmi di satira e impoverendo la nostra reputazione di primo giornale del servizio pubblico della più importante azienda culturale del Paese. Oltre che i cittadini, ne fanno le spese tanti bravi colleghi che potrebbero dedicarsi con maggiore soddisfazione a ben altre inchieste di più alto profilo e interesse generale.

Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni professionali: levare al pezzo la propria firma. Un conduttore, una conduttrice, può soltanto levare la propria faccia, a questo punto. Nell’affidamento dei telespettatori è infatti al conduttore che viene ricollegata la notizia. È lui che ricopre primariamente il ruolo di garante del rapporto di fiducia che sussiste con i telespettatori». Secondo la Busi «i fatti dell’Aquila ne sono stata la prova. Quando centinaia di persone hanno inveito contro la troupe che guidavo al grido di vergogna e scodinzolini, ho capito che quel rapporto di fiducia che ci ha sempre legato al nostro pubblico era davvero compromesso. È quello che accade quando si privilegia la comunicazione all’informazione, la propaganda alla verifica.

Ho fatto dell’onestà e della lealtà lo stile della mia vita e della mia professione. Dissentire non è tradire. Non rammento chi lo ha detto recentemente. Pertanto:

1) respingo l’accusa di avere avuto un comportamento scorretto. Le critiche che ho espresso pubblicamente - ricordo che si tratta di un mio diritto oltre che di un dovere essendo una consigliera della Fnsi - le avevo già mosse anche nelle riunioni di sommario e a te, personalmente. Con spirito di leale collaborazione, pensando che in un lavoro come il nostro la circolazione delle idee e la pluralità delle opinioni costituisca un arricchimento. Per questo ho continuato a condurre in questi mesi. Ma è palese che non c’è più alcuno spazio per la dialettica democratica al TG1. Sono i tempi del pensiero unico. Chi non ci sta è fuori, prima o dopo.

2) Respingo l’accusa che mi è stata mossa di sputare nel piatto in cui mangio. Ricordo che la pietanza è quella di un semplice inviato, che chiede semplicemente che quel piatto contenga gli ingredienti giusti. Tutti e onesti. E tengo a precisare di avere sempre rifiutato compensi fuori dalla Rai, lautamente offerti dalle grandi aziende per i volti chiamati a presentare le loro conventions, ritenendo che un giornalista del servizio pubblico non debba trarre profitto dal proprio ruolo.

3) Respingo come offensive le affermazioni contenute nella tua lettera dopo l’intervista rilasciata a Repubblica, lettera nella quale hai sollecitato all’azienda un provvedimento disciplinare nei miei confronti: mi hai accusato di “danneggiare il giornale per cui lavoro”, con le mie dichiarazioni sui dati d’ascolto. I dati resi pubblici hanno confermato quelle dichiarazioni. Trovo inoltre paradossale la tua considerazione seguente: “il tg1 darà conto delle posizioni delle minoranze ma non stravolgerà i fatti in ossequio a campagne ideologiche”. Posso dirti che l’unica campagna a cui mi dedico è quella dove trascorro i week end con la famiglia. Spero tu possa dire altrettanto.

Viceversa ho notato come non si sia levata una tua parola contro la violenta campagna diffamatoria che i quotidiani Il Giornale, Libero e il settimanale Panorama - anche utilizzando impropriamente corrispondenza aziendale a me diretta - hanno scatenato nei miei confronti in seguito alle mie critiche alla tua linea editoriale. Un attacco a orologeria: screditare subito chi dissente per indebolire la valenza delle sue affermazioni.

Sono stata definita “tosa ciacolante - ragazza chiacchierona - cronista senza cronaca, editorialista senza editoriali” e via di questo passo. Non è ciò che mi disse il Presidente Ciampi consegnandomi il Premio Saint Vincent di giornalismo, al Quirinale. A queste vigliaccate risponderà il mio legale.

Ma sappi che non è certo per questo che lascio la conduzione delle 20.

Thomas Bernhard in Antichi Maestri scrive decine di volte una parola che amo molto: rispetto. Non di ammirazione viviamo, dice, ma è di rispetto che abbiamo bisogno.

Caro direttore, credo che occorra maggiore rispetto. Per le notizie, per il pubblico, per la verità. Quello che nutro per la storia del Tg1, per la mia azienda, mi porta a questa decisione. Il rispetto per i telespettatori, nostri unici referenti. Dovremmo ricordarlo sempre.

Anche tu ne avresti il dovere».


domenica 5 dicembre 2010

I do believe in the fairies!I do! I do!



Tanto per sentirmi un po’ come Sarah Jessica Parker in Sex&the city...

La visione dell’amore si è momentaneamente congelata. Tristemente, tutto ruota attorno al sesso e questo, senza sminuire quello che dovrebbe essere “Il Momento”, passa come una mera azione di uso dell’altro e godimento per noi stessi. Sembra svanita- o forse dovrei dire che non è mai esistita?- la formula “...e vissero felici e contenti”. Brutta gatta da pelare, considerando il fatto che io, purtroppo, ci credo.
Credo nelle persone, nel rapporto di amore che i miei nonni e i miei genitori hanno creato; di più: credo che l’Amore non esista di fatto, ma che si possa inventare giorno dopo giorno. Ingenuamente mi verrebbe da sorridere pensando a coloro che, per una serie di motivi, hanno smesso di crederci. Se il mondo gira come sta girando ora miei cari, è perché lo abbiamo voluto noi. Se c’è crisi e se lo standard di vita è veramente decaduto questa è una conseguenza del come abbiamo voluto andasse il tutto. Questo perché la differenza la possiamo fare giacché, tanto per citarne una, il mare è formato da tante piccole gocce d’acqua. Stupidaggini quelle banalità su: donne stronze e uomini bastardi. Sì, ce ne sono, perché perfetti non siamo, ma su 7 miliardi di persone voglio sperare che almeno un’altra persona a credere a questo, ci sia. Il fatto è che non si può minimizzare tutto guardando il mondo in bianco o in nero, la perfezione non c’è: esiste però l’uomo e la donna in quanto esseri che si possono realizzare da soli, costruendo insieme un rapporto. Un rapporto fatto di sacrifici, di sostegno e di tanto, tanta felicità. Quella felicità che ci vende la Mulino bianco e che crediamo non esista. Però è proprio lì che ci sbagliamo. Esiste. Basta inventarsela. Esiste la persona adatta a noi, il P.A e la Princesse di turno, ma prima di tutto bisogna saper sperare e credere il lei. I do believe.

venerdì 19 novembre 2010

I open at the close


"I open at the close"



Il primo film di Harry Potter mi introdusse in un mondo eccezionalmente fantastico, luogo unico, spettacolare, capace di creare l'atmosfera magica che ogni bimbo ha già in se, moltiplicandola ed espandendola. Questo grazie a quella materializzazione dei personaggi che, per quanto nitidi, rimarrebbero altresì vagamente sfocati nella mente di ognuno. Harry allora cominciò a prendere realmente forma: minuto- sul serio!- con quella scodella tagliata male da zia Petunia, un po’ diversa dalla zazzera indomabile descritta dalla Rowling, occhiali lucidi, mai sporchi, trasandato alla “londinese” insomma, il classico bimbo acqua e sapone. Così l’ho conosciuto e così l’ho ritrovato in perfetta tenuta da bravo scolaro con tanto di cravatta ben annodata al collo e quel grifone rampante cucito al petto. Chi a suo tempo non avrebbe desiderato poter addentrarsi tra i cunicoli di Diagon Alley, magari passando prima al Paiolo Magico per una Burrobirra, camminare e incantarsi dinnanzi allo splendore di una lucente Nimbus Duemila? Il fascino delle Scope che prima ci sembravano tanto sudicie da non essere nemmeno guardate, passava in secondo piano e, appunto, come per magia, ecco che tutti i bimbi a cavalcioni di una vecchia ramazza provavano a sollevarsi da terra per sfrecciare a tutta velocità alla ricerca di un boccino d’oro invisibile. Bambini, si, ma chissà: magari qualche mamma appassionata, leggi che ti rileggi al bimbo, ha provato lei stessa a prendere in mano quell’utensile, vedendolo non più come un arcigno compagno di spazzate in cucina, quanto piuttosto come moderno mezzo di trasporto. Si potrebbe andare avanti ancora molto, riempiendo centinaia e centinaia di pagine ininterrottamente ma, probabilmente, si perderebbe in tal modo l’incanto che ci era stato regalato dalle pagine del libro. Parliamo del film allora, la prima parte del gran finale. Since 2001. Diciamo che se la prima dipartita dal binario 9 e 3/4 avvenne nel lontano 2001, questo Venerdì mi è sembrato di viaggiare per la penultima volta verso l’amato castello protetto da incantesimi e persone. L'ultimo film, seppur ancora per metà, ha saputo regalarmi non solo l'emozione data da un semplice colpo di bacchetta o da uno sbattere d’ali di Edvige, dal volto a cavallo di una Firebolt o dal disgustoso sapore di una pozione polisucco, quanto piuttosto un sobbalzo improvviso trasmessomi dal terrore negli occhi dei sette Potter, dal sangue colante dal- fu-orecchio di George, dai tanto sospirati primi accenni della storia d’amore fra Hermione e Ron, dall’attacco violento di Nagini, dall’urlo appagato di un Avada Kedavra scagliato con gusto. Tutto questo e molto di più, si parla di foreste innevate, di ricordi persi, di speranze ancora vive seppur tremule. Piccolezze che tuttavia, lo ribadisco, hanno saputo tenermi con il fiato sospeso sino alla fine, sino all’ultimo respiro di Dobby, sino al lampo blu di un avido Voldemort conquistata la bacchetta di Sambuco. Un noto autore che, credo, abbia influito in qualche modo l’autrice disse che tutti i grandi una volta sono stati bambini, ma che pochi di loro lo ricordano. Forse perché nel fiore della giovinezza, forse perchè esaltata dalla semi-conclusione di quello che per me è stato il leit motif della mia adolescenza- altro che generazione Mocciosa!- questa incredibile saga è stata in grado ora, a diciannove anni, di farmi ritrovare ancora una volta quella cosa che negli anni si va ad assopire: la fantasia. Mi ha ricordato che una speranza, c’è sempre, si chiami Harry Potter, si chiami Prescelto o pinco palla.

Concludo il mio pensiero, contorto ed intricato come il labirinto del torneo tremmaghi. Se al tempo cominciò anche per me l'avventura tra i corridoi e le scale di Hogwarts, ecco che adesso, in quello che per me sarebbe il settimo anno, mi ritrovo comunque catapultata in mezzo alla foresta al fianco di Harry. Pronta a correre scagliando reducto e stupeficium a manca e dritta per proteggere ciò che va protetto a qualsiasi costo, il dono più grande. Mi riferisco non ai deathly hollows, quanto piuttosto alla virtù che deve possedere il padrone della morte: l’amore.


"I open at the close."

lunedì 25 ottobre 2010

MILVA



Le città sottili


Di tante città forse Milva è la più strana.

Sporca, sbiadita e fredda. Priva di cure perché nata e vissuta nella velocità.

Bisogna camminare per giungervi, camminare molto e con passo lesto altrimenti si può perdere l’occasione e “puf”. Quella se ne va così com’è venuta. Milva non si sa come sia nata, forse per una pura casualità, forse per necessità, forse per un capriccio. Si narra che il noto guerriero di origini barbare, nonché fondatore di Milva, stanco dalle spossanti fatiche, sedutosi su di una pietra si riposasse. Poi si sa, da cosa nasce cosa: pianta una tenda qua, fai un rifugio di là, scava, su! le fognature mica si costruiscono da sole; arrivò l’inverno, poi la primavera, poi un altro inverno ancora e insomma. La gente è ancora lì a costruire. Se mai è consentito l’ingresso, è l’opprimente sensazione che gli edifici crollino addosso a porgere i primi saluti ai viandanti. Poi l’odore pesante del fumo ferroso e l’acre marciume a penetrare sin dentro le narici. La si vede e non la si vede dacché essa cambia sans cesse. Si è lì a bere un caffè e già il palazzo di giustizia comincia a colorarsi d’un plumbeo grigiore, mentre dietro ecco che s’erige una nuova cattedrale. Gli abitanti di Milva c’han fatto l’abitudine, ed di loro è assai nota la cordialità. Passano e via, niente saluti, niente sorrisi: la loro gentilezza sta nel non cominciare conversazione alcuna, perché mai vorrebbero privare i passanti di quel tempo che altrimenti verrebbe meno tanto a loro quanto agli altri. Milva é così: la si vive au jour le jour, non esiste la distinzione tra giorno e notte, il chiaro e lo scuro, il passato e il futuro, lì non c’è né l’oggi n’é il domani. A Milva vi è solo l’ora e l’adesso. Forse ci si è già passati e non ci si è nemmeno resi conto.